Uno sguardo scientifico al genio (o follia?) degli artisti del passato

Leggendo le lettere di Van Gogh al fratello Theo (un libro di cui vi parlerò nelle prossime settimane), sono rimasta colpita dalla coscienza di sè e della malattia dimostrata dall’artista in ogni suo scritto. Ma se Van Gogh non avesse sofferto di schizofrenia, sarebbe comunque diventato un artista? Se Edvard Munch non fosse stato affetto da un disturbo della personalità e depressione, la sua produzione sarebbe stata così efficace? E Séraphine Louis, Adolf Wolfli, R. A. Blakelock, Richard Dadd…?

Ho ricevuto in eredità due dei più terribili nemici dell’umanità: la tubercolosi e la malattia mentale. La malattia, la follia e la morte erano gli angeli neri che si affacciavano sulla mia culla.

Edvard Munch (1863 – 1944)

Così, con il supporto di mio fratello, ho fatto qualche ricerca tra gli articoli di letteratura scientifica per capire se le condizioni psichiche (in particolare la schizofrenia) di un artista siano davvero correlate alla produzione artistica.

Iniziamo da un dato, un po’ sconcertante: alcuni studi indicano che fino al 46,4% della popolazione, nell’arco della loro vita, può avere una dignosi psichiatrica positiva (Kessler R, Tat Chiu W, Demler O, et al. Prevalence, severity, and comorbidity oftwelve-month DSM-IV disorders in The National comorbidity survey replication(NCSR). Arch Gen Psychiatry 2006;62:617–27). Si tratta di numero davvero importante che, però, non fa di noi degli artisti.

Secondo Freud, sono l’inconscio e i suoi conflitti a motivare l’artista ad allontanarsi dal mondo reale per soffermarsi nel mondo della fantasia e, quindi, della sua creatività. Ciò che distingue un artista che soffre di problemi mentali da un paziente disturbato, è che l’artista è in grado di tornare al mondo reale se lo vuole, come se avesse più consapevolezza di sè (vedi la testimonianza di Van Gogh nelle sue lettere).

Cosa sono io agli occhi della gran parte della gente? Una nullità, un uomo eccentrico o sgradevole – qualcuno che non ha posizione sociale né potrà averne mai una; in breve, l’infimo degli infimi. Ebbene, anche se ciò fosse vero, vorrei sempre che le mie opere mostrassero cosa c’è nel cuore di questo eccentrico, di questo nessuno.

Vincent Van Gogh (1853 – 1890)

Gli artisti infatti, sembrerebbero avere una visione della realtà e della natura molto critica e orientata al problem solving: lo dimostra il processo artistico stesso, che è molto complesso e prevede la scelta di un soggetto, di una composizione, dei colori, della prospettiva…niente è lasciato al caso, ma è il frutto di un profondo ragionamento che mixa conscio e inconscio (The Myth of Schizophrenic art – Shaun A. McNiff, 1974).

Un recente studio effettuato dal Karolinska Institutet di Stoccolma e dall’Istituto di Psichiatria, Psicologia e Neuroscienze del Kings College di Londra, ha dimostrato l’esistenza di un legame tra estro artistico e disturbi mentali: le persone impegnate nell’arte, e quindi ritenute più creative, hanno il 90% di possibilità in più di essere ricoverate per malattie mentali rispetto ad altri. Più la persona è creativa, meno ricettori D2 (Dopamina-2) si trovano nel loro talamo…e i pazienti schizofrenici hanno una bassa densità di D2 in questa parte del cervello. Una somiglianza impressionante che offre una spiegazione di come le persone mentalmente “sane” ma creative, siano in grado di trovare legami originali tra idee diverse per risolvere un problema, e come i malati di malattie mentali facciano spesso associazioni insolite o strane. Il Dott. Ullén conclude dicendo che “il fatto che si abbia un punto di vista nuovo sul mondo potrebbe essere facilitato da una piccola imperfezione del cervello“.

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